L’innovazione tecnologica, la globalizzazione e il nuovo business digitale e smart hanno profondamente cambiato il mondo del lavoro.

Secondo il WEF, World Economic Forum, entro i prossimi 5 anni l’automazione e la ridistribuzione del lavoro tra uomini e macchine nelle medie e grandi imprese faranno perdere 85 milioni di posti di lavoro in tutto il mondo.

E il 50% di chi manterrà l’impiego dovrà concentrarsi sullo sviluppo di nuove competenze, per non restare tagliato fuori.

Non solo, l’Ocse stima che nei prossimi 15-20, ma vista la velocità in cui cambia il mondo, anche molto meno, si prevede tra i 5 e 10 anni, l’automazione finirà per cancellare il 15% circa degli attuali posti di lavoro, mentre per un ulteriore 32% degli occupati saranno richieste mansioni e competenze diverse da quelle attuali.

Nicola Spagnuolo, direttore del Centro di Formazione Management del Terziario (Cfmt), dice che «Sebbene In Italia si assista da anni a una graduale e costante riduzione degli investimenti sulla formazione, sia pubblici che privati e ad ogni livello, la quantità di risorse destinate alla formazione è esponenzialmente aumentata grazie alle ingenti risorse del Pnrr. Ciò che preoccupa maggiormente in vista di un nuovo futuro pertanto non è la quantità delle risorse investite, ma la loro qualità. La formazione dovrà essere sempre meno massiva e sempre più personalizzata, adattando contenuti, modalità e strumenti formativi più efficaci alle diverse esigenze di aziende e individui»».

Per il WEF l’Italia sconta un forte divario tra domanda e offerta qualificata. Da noi, dice il report, i lavoratori hanno un grado di conoscenze digitali più basso rispetto ai colleghi di altri Paesi europei.

Lo stesso vale per il grado di istruzione: solo nel 14% dei casi si arriva a livelli avanzati, contro il 30% in Francia e il 25% in Germania.

Nel contempo rimane elevata la richiesta da parte dell’industria di forza lavoro altamente qualificata. Significa che molto probabilmente nei prossimi anni si verificheranno fenomeni di asimmetrie profonde tra domanda e offerta di professionalità.

È indispensabile quindi migliorare le competenze, le abilità e le conoscenze delle persone in età adulta e durante tutta la vita lavorativa: quello che chiamiamo life long learning.

Emanuele Castellani, Ceo di Cegos Italy & Cegos Apac dice: “In tale contesto, il livello di competizione cresce e si riduce il time to competence”, ovvero il tempo che si può attendere per disporre delle skill necessarie.

Questo vale sia per le aziende, che senza le persone giuste perdono produttività, sia per le persone, che senza le giuste competenze perdono appeal sul mercato del collocamento.

Il punto d’incontro diventa l’investimento in una formazione organizzata e strutturata da parte delle aziende ma anche da parte degli individui, che devono iniziare a farsi carico del proprio bagaglio di conoscenze investendo almeno il 10% dell’equivalente del tempo lavorativo in formazione”.

In Italia abbiamo molta strada da fare, ma sarà un fattore critico per la crescita del Paese.

Se un tempo il primo budget a essere tagliato era quello della formazione, oggi è al centro della strategia per lo sviluppo del business ed è diventato un asset fondamentale senza il quale la competitività è a rischio. Perché in futuro le aziende più competitive saranno quelle che hanno investito molto nel proprio capitale umano, nelle capacità e nelle competenze dei propri dipendenti.

Maurizio Battistelli

Formatore e Business & Sport Coach